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Caso Djokovic, tutti i dubbi sulla versione di Novak

Un’inchiesta del giornale tedesco «Spiegel» suggerisce che i certificati esibiti dal tennista serbo siano stati manipolati
di Stefano Rizzato
Credits © Getty Novak Djokovic
Novak Djokovic
La versione di Novak è tutta in un lungo comunicato, affidato ai social media.

I media, quelli tradizionali, Djokovic continua a evitarli con cura. E però li attacca fin dalle prime parole, accusandoli di «continua disinformazione» sul proprio conto. Iniziano così le sue scuse, che contengono ben poca autocritica.

Prima di essere interrogato e fermato dalle autorità australiane, l’anti-vax Djokovic è arrivato in Australia grazie a un’esenzione medica dal vaccino, ottenuta per la presunta positività al Covid lo scorso 16 dicembre.

La storia passa da alcune date fondamentali, tutte in pochi giorni:

 - il 14 dicembre 2021, il serbo assiste a una partita di basket a Belgrado, con ben poche distanze e mascherine, e conseguente focolaio di contagi
 - il 16 dicembre, effettua un tampone molecolare, il cui esito sarebbe stato positivo
 - il 17 dicembre, partecipa a un evento pubblico al Novak Tennis Center, dove viene fotografato senza mascherina e in presenza di bambini
 - il 18 dicembre, rilascia un’intervista al giornale francese L’Équipe e posa, anche in questo caso, senza mascherina
 - il 22 dicembre, Djokovic effettua un secondo tampone molecolare, risultando negativo

Nella sua difesa, Djokovic afferma di aver saputo della positività al tampone molecolare solo dopo l’evento del 17 dicembre. E di aver onorato l’impegno con L’Équipe, il giorno successivo, solo per non mancare all’impegno preso con il giornalista. Almeno su questo, il serbo ammette: è stato «un errore di giudizio».

Ma c’erano errori anche nella richiesta di visto per entrare in Australia. Nel modulo, Djokovic segnalava di non aver viaggiato all’estero nei 14 giorni precedenti all’arrivo a Melbourne. Eppure era stato a Marbella ad allenarsi, intorno al 31 dicembre. In questo caso, non segnalarlo sarebbe stato «un errore amministrativo» attribuito al suo staff.

Altri nodi da sciogliere restano sulla difesa del tennista numero uno al mondo. I più gravi riguardano proprio i certificati dei test molecolari e soprattutto quello del 16 dicembre: il certificato di positività che ha aperto le porte dell’Australia a Nole.

L’inchiesta è del giornale tedesco Spiegel, in collaborazione con il gruppo di esperti informatici zerforschung. Senza mezzi termini, si parla di una possibile manipolazione dei certificati usati da Djokovic per ottenere il visto. Certificati resi pubblici dalla giustizia australiana,  a margine del primo ricorso vinto dal serbo.
È qui che emergono i sospetti di manipolazione. Secondo un’approfondita analisi del sistema informatico che li riguarda, a non tornare sono i numeri identificativi che accompagnano in modo univoco ogni test molecolare effettuato in Serbia. Quello del 16 dicembre, positivo, è 7371999. Quello del 22 dicembre, negativo, porta un numero più basso: 7320919.

«Secondo la nostra analisi, questi numeri sono assegnati in modo progressivo», spiegano gli esperti tedeschi. Per questo, il test eseguito il 22 dicembre dovrebbe avere un identificativo più alto rispetto a quello del 16. Nel caso di Djokovic è esattamente il contrario. Una discrepanza che lascia spazio all’ipotesi - gravissima - che siano stati usati stratagemmi anche informatici pur di ottenere il sospirato visto.

Le questioni aperte si moltiplicano. Il giallo sul certificato si aggiunge a tutti gli altri dubbi. Davvero Djokovic ha saputo della propria (presunta) positività del 16 dicembre solo un giorno e mezzo dopo? Davvero ha svolto correttamente la quarantena, a parte l’intervista con L’Équipe? Come è arrivato a Marbella, viste le restrizioni per l’ingresso in Spagna per i non vaccinati e visto che alle autorità spagnole nulla risulta del suo passaggio?

Domande che restano, per ora, senza risposta.

					

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