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Le emozioni della joelette

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Il podio degli splendidi azzurri

Con il vento in faccia si abbraccia la joelette, si spinge chi non potrebbe spingere, si vola sognando emozioni da condividere con chi sembra non poterle condividere: la ricetta è pronta, condita dal sudore e dalle lacrime, insaporita dalla gioia di regalare emozioni estreme a chi vive nell'estremo della vita tutti i giorni. Ma lasciamoci raccontare le emozioni dai protagonisti dei

CAMPIONATI DEL MONDO DI JOELETTE - St Trojan le Bains – Francia, 1° giugno 2019
“... tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato” (H. Murakami)
“La felicità è reale solo quando è condivisa” (Laura Vitali, accompagnatrice)

 
 

Le joelette sono un’invenzione francese per trasportare in montagna ragazzi che non possono camminare; poi la joelette ha incontrato il running ed è diventata una disciplina sportiva: un equipaggio di 4 “alfieri” spinge e tira un ragazzo che non può muoversi su una joelette; poi un gruppo di matti francesi ne ha fatto una gara mondiale, ed infine a gennaio un gruppo di matti italiani ha deciso di mettersi in gioco e di sfidare i cugini oltralpe. (Alberto Pietromarchi)


| DIANA VITALI
   Presidente dell’Associazione SOD Italia e mamma di Carolina

Non so perché mi sia venuta questa fissazione della corsa con la joelette! Ho avuto una visione: era un qualcosa che mancava nel mio mondo, qualcosa che portasse il mondo della disabilità fuori dai propri confini, tra gli altri, in modo che tutti scoprissero la ricchezza della diversità.

È un momento magico, quello che avviene quando c’è una trasformazione nella consapevolezza delle persone. Quello che pensavi un ostacolo, si trasforma in un gradino per salire più in alto; quello che credevi la fine, diventa un nuovo inizio. 

È quello che è successo a me, è quello che succede a chi va oltre il senso comune delle circostanze e trova il valore delle cose vere ed essenziali.
La joelette era anche un modo per condividere la mia sofferenza, per combattere la solitudine, perché venissimo riconosciute, io e mia figlia, la mia famiglia, come parte della società, capaci di costruirla insieme agli altri, e non solo viverla ai margini.

Era un modo per mostrare agli altri, ai miei figli soprattutto, che si può uscire dai problemi, guardandoli in faccia e lanciando il cuore oltre l’ostacolo. 
Era un modo per svelare la bellezza incredibile delle persone con disabilità, (normalmente nascosta perché la disabilità ci abbaglia) per donare agli altri ‘normali’ (i ‘diversamente ciechi’) la immensa ricchezza di umanità che portano nel mondo.

La cosa incredibile è che altre persone hanno cominciato a credere nel mio sogno, ed insieme a loro è avvenuta ancora un’altra trasformazione: la magia del rendere possibile l’impossibile! 

Ecco il potere della speranza! 

Sognavo un luogo dove esperienze simili alla mia mettessero radici, nascessero fiori e frutti e si coltivasse un giardino dove l’amore è libero di esprimersi. Ognuno può mettere un piccolo seme perché questo avvenga!

Questo luogo esiste: è nel cuore delle persone che hanno vissuto questa avventura, e adesso, per me, è ovunque. 


|CARLO FORNARIO
Alfiere del Team La bella Irene

 
Sarà una follia ma ci siamo iscritti ai campionati del mondo in joelette... Non so ancora come sarà l'organizzazione e eventuali associazioni che possono sponsorizzare questo progetto ma andremo. Siamo noi e un altro team di SOD Italia.  Partiremo con 4 spingitori. Questa volta competitivi capisco le difficoltà ma se qualcuno fosse interessato fatemi sapere.”

Era il 12 febbraio, poco dopo la Corsa di Miguel, quando Anna Claudia, ha mandato in chat questo messaggio.

L’ho lasciato decantare qualche giorno, poi ho risposto di sì. Era chiaro si trattasse di “una cosa molto casereccia e poco mondiale” (per usare le sue parole) ma Irene in questi anni aveva dato tanto a tutti noi e a mio figlio Emanuele in particolar modo. Mi sembrò l’occasione perfetta per ricambiare. “Per una volta - pensai - sarà il padre a seguire l’esempio del figlio e non viceversa” ...la cosa mi responsabilizzava e inorgogliva terribilmente!
Così è cominciata la mia avventura mondiale, con un whatsapp e una prima cena per conoscere Diana, la sua famiglia e i ragazzi coinvolti nell'organizzazione.
 
In quel momento - lo ammetto - ero concentrato su altro, perché il 7 aprile avrei corso la mia prima maratona e ritenevo di non avere spazio per altre “distrazioni”. Poco a poco, però, gli equilibri sono cambiati e, in breve, tutta l’attenzione si è rivolta alle joëlette; la tanto agognata maratona era diventata solo un lungo allenamento propedeutico!

Nella mia testa è chiaro il momento in cui è accaduto e quale è stato il fatto scatenante: un messaggio ricevuto da un numero che non avevo in rubrica una sera di fine marzo: “Carlo sono Alberto. La Maratona di Roma l'ho corsa 4 volte l'ultima nel 2016. Il percorso è un po' cambiato ma non credo tantissimo. Ai tempi avevo scritto questo racconto della maratona per degli amici che correvano per la prima volta una maratona e che raccoglievano fondi per una ONLUS con cui collaboro. Te lo giro sperando ti ispiri e ti aiuti”. A scrivermi era uno degli “alfieri” (così abbiamo scelto di chiamarci) del team Dajone, il primo a iscriversi al Mondiale. Ho cominciato a leggerlo con una certa diffidenza il lunedì seguente in ufficio e, dopo pochi minuti, mi sono trovato in lacrime davanti al PC.

Da sconosciuto, spontaneamente, di domenica sera, Alberto aveva avuto un pensiero per me, mi aveva mandato consigli, si era aperto, aveva ascoltato un mio bisogno. Con sorpresa realizzai che ero lì per prendere non per dare e, in questa mia risposta, c’è tutto il senso che da quel momento in poi ha assunto per me il Campionato Mondiale di Joëlette: “Caro Alberto, ti prego, dimmi che è normale leggere e piangere, emozionarsi, avere dubbi e allo stesso tempo credere di potercela fare. Immaginarsi stanco, carico, speranzoso e disperato, vincitore e sconfitto. Orgoglioso di correre nella città che ami, in mezzo alle persone che ami e che credono in te. Con le tue parole e con la tua esperienza hai reso collettiva un’impresa che credevo fosse solo una sfida con me stesso. 

Ti porterò nel cuore per tutti (spero) questi 42 km. Grazie mi hai fatto un regalo davvero speciale! Mi piace credere che un altruista sia, in fin dei conti, solo un portatore sano di egoismo... perché quando ti offri ricevi sempre molto più di quello che dai. 
Sono orgoglioso di far parte con te di questa grande avventura!”
 
Così ho cominciato a metterci testa, tempo e cuore. E più davo, più prendevo. Nel gruppo è entrata mia moglie Federica e i miei amici di una vita: Lorenzo con Alessandra, Michele e Fabiana. Ho conosciuto persone meravigliose, fatto allenamenti, pranzi, cene e picnic. Trovato sponsor e testimonial, scritto post, ricevuto meravigliose lettere, progettato divise e locandine, incontrato ministri e assessori. Ho raccolto fondi e corso gare con vecchi e nuovi amici, tutti affascinati da questa splendida disciplina. Ho imparato a voler bene a persone conosciute solo in una chat “rovente”: Campioni del Mondo... 24 partecipanti e più di 10.000 messaggi scambiati ...per la gioia di Lollo!

Tutto questo per Carolina, Irene e Maurizio, per le loro famiglie, per tutti gli altri che aiuteremo con le nuove joëlette, per ognuno di noi!

Perché in questi mesi i problemi grandi e i piccoli acciacchi, le nostre paure, i nostri sogni e i nostri bisogni sono diventati un tutt’uno e, a turno, ce ne siamo fatti carico, trasformandoli in risorse. Come dice Fernando, so’mpicci ma la via d’uscita c’è sempre e, insieme, si riesce magari pure a riderci su, trovando il lato positivo.

È come il vento in faccia, tanto temuto dagli sportivi, che per noi ha invece costituito il motivo stesso per correre. 
 
Un proverbio keniano (e loro di podismo ne sanno!) recita: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme”. Questa frase scritta in ufficio sul muro davanti alla mia stanza ha oggi per me un sapore nuovo, perché nella vita - lo ammetto - non mi ero mai trovato troppo d’accordo con De Coubertin. Non avendo mai trovato ostacoli nel partecipare, ho sempre creduto che sola cosa importante nello sport fosse vincere!

Negli ultimi mesi però sono cambiate molte cose. Conoscendo questi eroi - splendidi catorci nel “mondo degli altri” - così meravigliosamente perdenti, ne sono rimasto affascinato, incantato dai loro sforzi e dalla tanta passione per provare la gioia e il gusto di partecipare, solo quello... proprio le emozioni che, per la tensione della gara, troppe volte non ho provato, anche quando ho vinto!
Non contando il risultato, la logica avrebbe a questo punto suggerito di non allenarsi, ma è proprio qui che è successa la magia.

È il segreto della joëlette, e Diana lo sa bene! Quando, con fare da commissario tecnico, ci ha imposto un fitto calendario di allenamenti era perfettamente consapevole che non sarebbero serviti a vincere i Mondiali. Voleva solo che imparassimo a conoscerci, darci l’occasione di stare insieme e goderci ogni istante di questo viaggio fantastico, allenando l’unico muscolo davvero importante per correre: il cuore!
 
In Francia ognuno di noi era esattamente nel posto in cui voleva essere (cit.), perché ognuno ci ha portato tutto quello che poteva e trovato proprio quello che cercava. E così, Carolina si è emozionata, ha pianto e riso, vinto coppe e regalato medaglie. La piccola Irene ha sopportato un’odissea di quattro giorni per offrire un’ora di emozione e gratitudine ai suoi genitori. 

Maurizio dall’Elba ha fatto quel viaggio in Francia con la sua famiglia che sognava da tempo, si è divertito e - speriamo - ha magari guadagnato qualche punto per il suo videogame. Qualcuno ha cercato una ripartenza, altri ascolto e amicizia. Una sfida, un po’ di emozione, un riscatto o semplice bisogno di amore. Abbiamo mangiato porchetta e ostriche, parlato e ascoltato, urlato a squarciagola e sussurrato parole di conforto, perso e vinto, corso e dato abbracci con tutto quello che avevamo in corpo. Abbiamo vestito la maglia azzurra e cantato l’inno con tedeschi, francesi e spagnoli. Tutti fratelli di un’Italia inclusiva, sincera, generosa e fiera, esattamente come dovrebbe essere!

Anche se, rientrati a casa, ognuno è tornato alla propria quotidianità, resta in noi la soddisfazione immensa di esser stati per poche ore sul tetto del mondo. E tutti, almeno una volta nella vita, hanno il sacrosanto diritto di starci.

Un grazie enorme ai protagonisti di questo viaggio, insieme abbiamo reso possibile una follia. 
 
Alla prossima avventura, dajone!

 
| ANNA CLAUDIA CARTONI
   Alfiere del Team La bella Irene e mamma di Irene

Quando Diana mi ha proposto di partecipare ai Campionati del mondo, ho risposto di no perché mi sembrava una follia affrontare con Irene un viaggio così lungo, più di 1700 km in macchina perché per noi è impossibile prendere l’aereo.

Un no forse poco convinto perché comunque mi piaceva l’idea di vedere correre tante joelettes insieme in un mondo di disabili accompagnati con il cuore da amici e familiari. Vivere in prima persona una manifestazione sportiva di vera inclusione mi avrebbe dato tanto e avrebbe aperto le porte per tentare di creare qualche cosa anche qui in Italia. Ma nei miei pensieri c’era anche la necessità di capire quanto avrebbe giovato a Irene, se in qualche modo anche per lei questa odissea avrebbe avuto un senso. Domande a cui ho sempre difficoltà a trovare una risposta.

A partecipare mi ha convinto in qualche modo Carolina, compagna di joelette di Irene dalle prime corse di Miguel. Ero sicura che per lei avrebbe avuto più senso partecipare insieme a Irene e tutti noi, la avrei resa più felice. E questo era già un valido motivo.

Così ci siamo iscritti non pensando mai di trovare tanti runners interessati ad essere con noi in questa follia. Amici speciali si sono aggiunti e hanno condiviso con noi un percorso di quattro mesi fino al tanto atteso 1 giugno, giorno della gara. Persone che si emozionano a vedere spuntare il sorriso sul viso di Irene, Carolina e Maurizio, amici che si sono fatti in quattro per diffondere il nostro progetto.

Al primo allenamento con le joelettes ho capito che eravamo sulla strada giusta, ho capito qual è il “potere di una joelette”. Correre con la joelette regala emozioni a tutti, runners e trasportati, sconfigge la solitudine, fa provare l'ebbrezza del vento in faccia a chi non può correre, è un virus di energia che acchiappa tutti quelli che hanno provato anche solo una volta a correre con noi. La corsa diventa un’attività di squadra dove ci si adegua al ritmo del più lento e dove il principale obiettivo non è arrivare primi ma condividere l’emozione con chi da solo non può fare neanche un passo. Si fatica di più ma ci si sente catapultati in un mondo migliore.
L’inclusione è reale e bella quando sei consapevole che è una ricchezza per tutti, sani e meno sani, e la conoscenza di mondi diversi è l’arma vincente per una vera accoglienza partecipata.

Mi sono allenata costantemente per questo obiettivo, ascoltando ciò che il mio fisico richiedeva. Ho alternato fatica e riposo consapevole che sono ambedue aspetti determinanti per arrivare al meglio delle proprie possibilità il giorno della competizione. Ci sono riuscita e sono stata felice che durante la gara sentivo le gambe leggere come non mai e avevo sufficiente fiato per parlare a Irene e cantarle le sue canzoncine preferite. 

Ho tagliato il traguardo sorridente con Irene e Fernando, la mia famiglia, (per noi non è così scontato e naturale riuscire a fare qualcosa insieme senza incorrere in barriere e difficoltà di ogni tipo) accompagnata da due alfieri dal cuore grande, Carlo e Lollo. Al traguardo mi ha spinto soprattutto l’entusiasmo di questi mesi, aver condiviso un percorso così emozionante insieme a un gruppo favoloso, runners, accompagnatori e soprattutto Irene, Carolina e Maurizietto. Emozione impagabile è stato vedere la felicità negli occhi di Maurizietto, la commozione in quelli di Carolina e avere Irene al mio fianco durante una corsa in Francia! Felice di aver condiviso con Diana tutto questo, perché la sua energia è contagiosa.

Tra i nostri tifosi, un gruppo di atleti nazionali di ginnastica artistica (Academia nazionale di Fermo) ha sintetizzato in tre parole, attraverso un video di incoraggiamento, la nostra avventura: difficoltà, fatica, follia come ingredienti necessari per riuscire nello sport. Nei mesi di avvicinamento la difficoltà si è trasformata in sfida, la fatica in un’emozione condivisa e la follia è stata la realizzazione di un sogno.

Dopo questa esperienza sono sicura che troveremo altri runners per le future sfide, ma il mio sogno più grande è che altre famiglie che sono quotidianamente in trincea, immerse nella disabilità si uniscano a noi per vivere un po' di normalità al di fuori di ospedali, terapie e riabilitazioni.

Spero che il vento possa accarezzare dolcemente il viso di tutti.
 
| TULLIA PAGANI
   Accompagnatrice e sorella di Carolina

Non sono mai stata una persona competitiva. Ricordo di aver visto un filmato, avremo avuto 4 e 2 anni, Livia era ancora nella culla, eravamo in montagna in una delle bellissime passeggiate che ancora facciamo con papà: il lago d'Arpy. C'è una staccionata, non ricordo o non c'è nel filmino, siamo noi due sorelle, che cerchiamo di arrampicarci, più o meno con facilità, ma Carol non arriva in cima. Nel filmato è evidente che io la guardo e scendo anche io. Non raggiungo la vetta, non mi fregio di avercela fatta io e lei no. Forse è stato un caso, forse non ce la facevo neanche io, forse a lei non andava di raggiungere la terza fila di assi, forse mamma ci aveva detto di scendere, forse volevo solo copiare la mia sorellona.

Crescendo la mia vita potrebbe dirsi una metafora di quel momento... non ho mai cercato di strafare, ho sempre pensato che la seconda fila di assi si addicesse a me, che non avevo bisogno di dimostrare niente a nessuno, ma di fare quello che andava fatto e se possibile aiutare chi non ce la faceva.

Ho sempre pensato di essere io quella che doveva aiutare, quella che "poteva fare di più" (ma che non si applicava…). In alcuni momenti ho pensato che ci fosse effettivamente qualcosa che mi "tirava giù" e che mi impediva di essere spensierata come le mie coetanee, pensare a vestiti, a piacere o no ad un ragazzo, a cosa avrei fatto da grande o semplicemente il giorno dopo. Non dico di avere avuto una vita di stenti, anzi, solo che il mio pensiero fisso era un altro. Una sofferenza sopita, che ancora oggi mi attanaglia, anche se in un modo leggermente diverso da prima....

Poi siamo andati ai Mondiali di Joëlette. In Francia, in un’isola bellissima vicino ad un parco nazionale. Non credo ci sarei mai stata se non per questa occasione.
Come al solito i mesi precedenti a questa avventura sono stati frenetici: non ero a Roma e quindi un po' fuori dai giochi, mi occupavo di pubblicare qualche aggiornamento sui social, indispensabile oggi per fare arrivare le notizie, per raccontare quello che stava succedendo in un gruppo di amici romani, elbani, tedeschi... che ancora non conoscevo di persona, ma che si erano messi in testa di portare mia sorella ad un mondiale! Di farla partecipare e di vincere anche!

Nel corso della mia vita ho passato varie fasi, come tutti. Mi sono sempre sentita più matura della mia età, forse perdendomi qualcosa, probabilmente acquistando ricchezze che non tutti hanno la possibilità di incontrare nel loro cammino.

Ed è per questo che oggi ripenso a come interpretavo male, prima, la scena della staccionata.

Per un lungo periodo di tempo ho pensato che io potessi e potendolo, dovessi, aiutare mia sorella. Lei non ce la faceva a salire la staccionata. No? ....

Spero che questa avventura in Joëlette possa aver insegnato anche alle persone che hanno partecipato attivamente, che ci hanno supportato o semplicemente seguito, quello che la mia vita con mia sorella ha insegnato a me. È senza dubbio più faticoso correre trainando una Joëlette, piuttosto che correre da solo. É triste pensare che senza di te quella persona non potrebbe farlo... quasi ti senti in dovere, di farla, sta faticata.

Solo che quando poi lo fai... non puoi più fare a meno di iniziare a ringraziare tu quella persona che pensavi di dover aiutare, per quello che ti ha aiutato lei a provare, per quella sensazione di essere un essere umano, di allegria, di pianto, di comunione, di sentirti di essere dove devi essere.

Il mondo che è stato aperto davanti a noi, dall'allegria, dalla purezza, dalla dolcezza, dalla riconoscenza che abbiamo visto all'arrivo negli occhi di Carol, Irene e Maurizietto, difficilmente lo vedete negli occhi di qualcuno che controlla il proprio conto in banca, negli occhi di chi si compra un abito nuovo o negli occhi di chi viene acclamato al potere.

Solo la vera ricchezza di ESSERE con il prossimo, di sentire la FATICA delle cose fatte per AMORE, può insegnarti che il mondo deve essere un posto più bello per tutti, soprattutto per coloro che cercano la felicità in cose che non gliela porteranno mai.

Nella mia vita ho avuto la fortuna di avere una sorella maggiore come Carol che già prima di nascere mi amava, mi aspettava mi aiutava a crescere. Io ho pensato di doverla difendere e aiutare, ma in realtà, alla fine, ha difeso ed aiutato lei me, dandomi l'esempio e la saggezza di chi ha affrontato battaglie più brutte, oscure e tristi di quanto io non potrei mai affrontare, sempre con il sorriso e sempre da sorella maggiore...

Auguro a tutti di voler smettere di salire sul gradino più alto della staccionata, di girarsi, di incontrare Carolina, Irene o Maurizio, che con loro riscopriate la bellezza di scendere dalla staccionata e di giocare insieme sull'erba.
 
| FABIANA LUNGAROTTI
   Alfiere del Team Maurizietto

Metti una domenica di inverno con Carlo e Federica che ti dicono 'Dai! Venite a fare con noi i mondiali di joelette!'...

Metti che ricevi il video del grande Maurizietto dell'Elba che vuole sentire il vento in faccia....

Metti una sera a cena da Sompicci (famiglia di Irene) dove ti senti in famiglia anche se non conosci nessuno...

Metti Villa Ada e il laghetto di Tor di Quinto ad allenarci faticosamente tutti insieme con le joelettes, ma anche a fare festa mangiando porchetta...

Metti SOD Italia, Sompicci, i team di runners, gli organizzatori, gli accompagnatori, i fotografi, i reporters, i donatori e una macchina organizzativa che manco gli svizzeri...

Metti SOPRA TUTTO Maurizio, Irene e Carol!!!

Metti, metti, metti, ma noi più che mettere abbiamo ricevuto entusiasmo contagioso e indimenticabile! 

Come scrive Anna Claudia, “... tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato” (H. Murakami).

Grazie di cuore a tutti voi
 
| ALBERTO PIETROMARCHI
   Alfiere del Team Dajone

Beh l’avventura del Mondiale di Jolette in Francia è finita, si torna a casa. Non abbiamo fatto il miglior tempo, ma abbiamo vinto perché:
abbiamo dato TUTTO TUTTO TUTTO, non potevamo correre nemmeno 1 sec. più veloce 
perché abbiamo corso con il sorriso sulle labbra
perché Karol alla fine era commossa
perché abbiamo cantato l’inno più bello del mondo a squarcia gola dal palco
perché abbiamo avuto TUTTI l’impressione di ESSERE ESATTAMENTE DOVE VOLEVAMO ESSERE

Per la cronaca, ci siamo messi 59 EQUIPAGGI FRANCESI ALLE SPALLE

| LORENZO GIANNI
   Alfiere del Team La bella Irene

Mi preoccupavo di best-time, di stress pre-gare, di fallimenti... ma oggi ho capito che lo sport è inclusione, che la vittoria non dipende dal risultato e che Anna Claudia e Fernando sono i miei veri eroi. Ma te, piccola Irene, mi hai conquistato e il tuo bacio è il mio personal best!!!
 
| TOMMASO VITALI
   Alfiere del Team Dajone

Un’avventura grandiosa dalle mille emozioni. E la cosa più bella di tutte è la voglia che mi avete messo di essere un uomo migliore ogni giorno. Grazie e sempre “Dajone”
 
| ALESSANDRA BIZZARRI
   Alfiere del Team Maurizietto

Sono passati più di 20 anni dall'ultimo mondiale in cui avevo le farfalle allo stomaco, mi brillavano gli occhi e avevo un obiettivo vero, concreto, che mi ero scelta.

La sera prima di questo mondiale avevo le stesse emozioni, gli stessi desideri. Ma a questi si aggiungono le emozioni che i ragazzi e i nuovi amici con cui ho corso mi hanno dato e mi stanno dando tanto

.
| FABIANA ALBANO
   Fotografa accompagnatrice

Quando Diana mi ha detto di partire in Francia con Carol e altri due ragazzi e na cifra di persone fantastiche, ho accettato, considerando questo viaggio la mia rinascita. Irene, Carolina e Maurizio, tre ragazzi fighissimi e col cuore pieno di vita, gli occhi felici e #ilventoinfaccia.

Quel vento che ci da e gli da vita. Ho conosciuto genitori guerrieri, amici uniti dalla voglia di vivere, una voglia che nulla può spezzare. Quello che mi avete dato in questi giorni ha reso la mia rinascita viva, di un sole unico e raro. Grazie di cuore!

| FEDERICA GARGIULO
   Accompagnatrice

Ognuno di noi porterà nel cuore un pezzetto di questa avventura, io porto gli abbracci: dati, ricevuti, rubati, emozionati e commossi! Il mio cuore è colmo di gratitudine e amore GRAZIE
 

Conosco due modi per viaggiare su questa palla che chiamiamo Mondo.

Il primo, consiste nello starsene fermi, e far scorrere “lui”, il mondo, sotto i nostri piedi.

Magari con un libro, magari con un bel film.

Il secondo, è tenere fermo “lui”, e comminarci, magari correrci attraverso.

Di sicuro, il primo, è di gran lunga il più romantico e anche il più comodo, non si fatica, non si suda, ma non prevede l’opzione “VENTOINFACCIA”

Avete mai provato, a soffiare sul nasino di un bimbo appena nato, nella sua culla?

Spalancherà gli occhi, con un’espressione tra la gioia e lo stupore.

Credo sia questa, l’espressione che ho intravisto a tratti sui loro volti, mentre braccia e gambe di amici e genitori li spingevano su quelle strane carriole, fatte di tubi e ruote, cercando, con tutta la forza che avevano, di restituire a loro, e a se stessi, il bisogno, o forse quasi la necessità, di condividere il “viaggio”, per vivere finalmente un attimo di normalità. (Andrea Carosi - VIDEO)
 
 

 


					

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