Greene saluta il football

Si è ritirato il giocatore più forte mai visto in Italia
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04-07-2011

Greene saluta il football

Si è ritirato il giocatore più forte mai visto in Italia

    Se ne vanno (dall'Italia) sempre i migliori. E non è la solita orrenda frase fatta per indorare la pillola dell'addio, stavolta agonistico, di una persona. Perché Reggie Greene, 35 anni, è stato davvero IL migliore. Forse il miglior giocatore nella storia del football italiano, anche se si tratta di classificazioni ad alto rischio in quanto non tengono conto di tutti i parametri. Però durare 12 anni nel pesante ruolo di running back, guadagnare 15.638 yards, vincere un Super Bowl (2009) ed essere votato per quattro volte Mvp cioé migliore del campionato e per due volte Mvp del Super Bowl stesso costituisce dato di fatto, non opinione. Con la maglia dei Giants Bolzano e brevemente dei Warriors Bologna, Greene ha segnato 214 touchdown e superato le 200 yards a partita per tre campionati (2007, 2008 e 2010), tenendo nelle dodici annate, che in realtà sono meno per via di qualche infortunio, una media-partita di 171.8 yards. Nel periodo passato qui Greene ha visto evolversi il football nostrano, passato dai fasti degli anni Ottanta (nel 1987 la Nazionale fu anche campione d'Europa) alla caduta causata da un gigantismo mal governato alla rinascita degli ultimi anni con il rientro nel Coni, che però è solo un punto di partenza.

    Greene è scivolato attraverso questi due lustri e mancia con quei movimenti che - non è un'esagerazione, ma la verbalizzazione di tutte quelle yards conquistate - sono sempre stati più sinuosi che potenti, più morbidi che irruenti. Una caratteristica che è sua fin dagli inizi, fin da quando a Waterbury, nel Connecticut, a 14 anni era alto solo 1.60 e nessuno voleva dargli una chance. Nella Crosby High School giocò sempre flanker, ovvero il ricevitore che nelle formazioni base si schiera dal lato del tight end, un passo arretrato dietro la linea di scrimmage, ed ha normalmente un fisico meno longilineo del wide receiver: questo in genere fa sì che il flanker possa saltuariamente portare palla nei reverse o end around, le azioni in cui questi giocatori alla partenza dell'azione non corrono in avanti ma verso il centro del campo e ricevono "alla mano" dal quarterback o da un altro compagno di squadra. Al liceo, Greene lo fece per 4-5 volte a gara, oltre alle normali ricezioni, perché nel suo ruolo preferito, quello di running back, giocava un ragazzo di nome Tony Ortiz. Greene ancora anni dopo, intervistato dal quotidiano di Hartfort, nel Connecticut, sottolineava «Ortiz era il nostro tailback e io non ebbi problemi a fare il flanker, ma ai college che mi volevano dissi chiaramente che volevo essere un running back». In realtà non molte università lo avevano cercato, 5-6 in tutto, e tra queste solo Georgia Southern, uscita da alcuni anni da un periodo di prosperità, godeva di un certo nome. Greene andò a Siena, un college di ispirazione francescana situato a Loudonville, sobborgo nord di Albany, la capitale dello stato di New York, pagandosi la retta di tasca sua, perché i Saints non offrivano borse di studio per meriti sportivi, mentre Ortiz dimostrava comunque di essere un buonissimo giocatore: linebacker titolare a Nebraska, free agent preso poi tagliato dai Dallas Cowboys prima della regular season infine nella NFL Europe con gli Scottish Claymores. Intanto, con i Saints di Siena, Greene diventava con 5145 yards corse il primatista di tutti i tempi della division I-AA (il gradino universitario appena inferiore a quello massimo), vincendo per tre volte di fila la classifica annuale, e poco importa ora se il suo record è successivamente stato battuto.

    Quel che resta, di lui, già a Siena, è la capacità di fare quel che voleva, in campo, una volta convinti gli allenatori: al suo primo anno, il 1994, aveva toccato pochissimo il pallone, e alla vigilia dell'ultima partita aveva scritto una lettera ai coach, ricordando loro che nel roster avevano un potenziale dominatore. L'effetto? Gli avevano creduto, forse perché ormai la stagione era persa, e Greene in quell'ultima gara contro Marist aveva corsoe 20 volte per 143 yards, guadagnandosi il posto che sarebbe comunque stato suo perché i due colleghi con cui divideva il ruolo avevano terminato la carriera di college. Ispirandosi nei cambi di direzione sia a Barry Sanders, sublime running back dei Detroit Lions, sia al suo idolo giovanile James Brooks, ottimo seppur meno noto Rb dei Cincinnati Bengals. Come riferì all'Hartford Courant, «i movimenti alla Sanders si possono imparare, ma non si può imparare quando usarli, è questione di istinto» e Reggie l'aveva. Il suo schema preferito, che poi schema non era, consisteva nel ricevere palla 4-5 yards dietro la linea di scrimmage e poi decidere cosa fare a seconda della "lettura" della situazione. Dritto per dritto, senza option (schema in cui la palla resta al quarterback che un attimo prima di essere placcato la getta al running back) che a lui pareva una maniera disonesta di ingannare i difensori, e nacquero così tutte quelle yards, non sufficienti però a segnalarlo alla Nfl alla sua uscita dal college, nel 1997, con un diploma in filosofia: eppure i 172 centimetri di per sé non dovevano costituire un handicap, se abbinati alla forza fisica (arrivò a sfiorare 180 kg di panca), all'atletismo (schiacciava a canestro senza problemi) e alla capacità di cambiare direzione in un amen, «a volte dopo avere persino fatto un passo indietro prima di riaccelerare» come disse il coach Ed Zaloom, e questa era decisamente una qualità alla Barry Sanders. Il guaio era la velocità di base, non esaltante, e forse anche la diffidenza degli osservatori Nfl verso un giocatore che aveva sì dominato, ma contro avversari di livello non eccelso.

    Adesso torna a Harlem con la moglie Rahma e Swami, la figlia di due anni. Intende crearsi spazio come autore di libri (ne ha appena scritto uno di fiabe, Swami Somewhere) e quel che c'è da scrivere è prima di tutto, come si dice, un nuovo capitolo della vita. In Italia, è ovvio, sarà sempre il benvenuto, ed è curioso che mentre domenica 26 giugno veniva presentato al pubblico di Parma, che gli tributava un'ovazione in piedi festeggiando la sua elezione unanime alla Hall of Fame della Italian Football League, ci fosse in giro per la nostra penisola una delegazione di studenti proprio del Siena College. Che dal 2003 non ha più una squadra di football: costava troppo. Anche se sarebbe bello immaginarsi un motivo più semplice, cioé che dopo avere visto all'opera un Reggie Greene i dirigenti abbiano pensato «meglio chiudere che proporre giocatori che possono solo farlo rimpiangere».

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