Per chi non lo avesse seguito negli anni passati, può essere una rivelazione, chi conosce il suo percorso sa che oltre al talento il suo cammino sportivo è “segnato” dalla buona sorte. Sin dagli esordi ha avuto al suo fianco grandi sponsor, grandi gruppi industriali con l’occhio lungo, che hanno investito sul giovane Marc: Caixa, Repsol per citarne alcuni.
E sotto al sedere una moto ufficiale. La Honda, lo ha cresciuto e coccolato come la chioccia con i pulcini, fino alla MotoGp; per lui è stata abolita la norma del rookie, ovvero è stato abolito il divieto di essere ingaggiato da un team ufficiale nell’anno di esordio nelle Motogp. Contorto, ma è così.
Al suo esordio nella premiere class ha raccolto tre podi con una vittoria in tre gare, pilota la Honda che fu di Stoner, al momento la miglior moto sul mercato del motomondiale, dei prototipi. Ci sono voluti cinque anni, diversi progetti e altrettanti milioni gettati al vento prima di arrivare a questa versione.
Insomma, Marquez è un “predestinato” al successo, grazie al suo talento, alla facilità di come risolve le situazioni: da quando partiva in ultima posizione in 125 e in Moto2 (perché penalizzato per la sua irruenza) e vinceva come in Giappone, o al più partendo ultimo arrivava secondo o terzo, come a Barcellona. Pilota dalla guida entusiasmante, poco ragionata, fatta di uno spirito originario del motociclismo e quindi che affascina.
È il mutamento di parecchie generazioni di campioni, quello perfetto, quasi come Rossi, ma non è la stessa cosa. A proposito, una delle prime cose che ha fatto quando è arrivato nel Motomondiale è stata quella di farsi autografare tutti i modellini delle moto di Rossi, che colleziona in ossequio al suo idolo.